La Mostra alla Galleria La Colomba di Lugano è stata prorogata fino al 31 maggio. Negli ultimi giorni sarà presentata la nuova scultura ispirata al ciclo Interno-Esterno, sulla quale la critica e storica dell’arte Martina Corgnati si è così espressa:
Da una decina d’anni a questa parte, nelle opere del ciclo Oltre la soglia e successivamente, con maggiore evidenza, Interno-Esterno, Agostino Ferrari ha deciso di squarciare illusionisticamente la superficie lasciando trasparire una dimensione “altra”, sconosciuta e promettente. Si è resa così, in questi quadri, quasi tangibile la presenza di uno spazio fisico e praticabile, annunciato dai ripiegamenti volumetrici di una superficie pittorica che si accartoccia su se stessa e si arriccia.
E oggi finalmente questa avventura ha portato a una conquista ulteriore, quella dello spazio “reale” chiamato in causa attraverso una scultura tridimensionale.
Più precisamente, si tratta di una stele, provvista di due facce contrapposte e aperte entrambe sullo spazio e nello spazio, un “Giano bifronte” reso irrequieto e conturbante dalla presenza di lastre metalliche smaltate che non evocano più soltanto, non rappresentano ma agiscono nello spazio abitandolo con la loro presenza effettiva.
Resta, protagonista incondizionato e fedele, il segno guizzante e arabescato che si insinua fra il dentro e il fuori, nel “corpo” della scultura, spingendosi oltre la soglia oscura dell’ignoto e riemergendone con illesa, dirompente energia da entrambe le parti, speculari ed equivalenti nel loro coinvolgere dimensioni contrapposte e quindi non “fruibili” insieme nello stesso momento.
Più che mai Agostino Ferrari insiste ora sull’evidenza fisica di questo segno, sulla sua ombra e sul suo muoversi attraversando spazi diversi, aperti uno sull’uno sull’altro e uno attraverso l’altro.
È un passaggio importante e coraggioso, che dimostra oggi più che mai la versatilità straordinaria del linguaggio messo a punto dall’artista milanese, la sua capacità di affrontare tutte le dimensioni del “fare artistico” senza mai tradire sé stesso né allontanarsi dalle proprie ragioni fondanti.
Quella di Agostino Ferrari è una “forma totale” dove si avvicendano ed entrano in gioco tutti gli attori della sua lunga messa in scena, in sempre diversi e provvisori giochi d’equilibrio: il colore, lo spazio, il tempo e, soprattutto, immancabilmente il segno. Segno che è qui autentico compagno di strada in un percorso che si staglia oggi specialmente libero al di sopra di etichette e classificazioni di comodo (pittura vs scultura; moderno vs contemporaneo), nate per circoscrivere e ordinare le risorse della creatività artistica, ma che si ritrovano ottuse e impotenti di fronte all’arte vera, sorprendente, sempre, imprevedibile, ma fedele. Come in questo caso.La Mostra alla Galleria La Colomba di Lugano è stata prorogata fino al 31 maggio. Negli ultimi giorni sarà presentata la nuova scultura ispirata al ciclo Interno-Esterno, sulla quale la critica e storica dell’arte Martina Corgnati si è così espressa:
Da una decina d’anni a questa parte, nelle opere del ciclo Oltre la soglia e successivamente, con maggiore evidenza, Interno-Esterno, Agostino Ferrari ha deciso di squarciare illusionisticamente la superficie lasciando trasparire una dimensione “altra”, sconosciuta e promettente. Si è resa così, in questi quadri, quasi tangibile la presenza di uno spazio fisico e praticabile, annunciato dai ripiegamenti volumetrici di una superficie pittorica che si accartoccia su se stessa e si arriccia.
E oggi finalmente questa avventura ha portato a una conquista ulteriore, quella dello spazio “reale” chiamato in causa attraverso una scultura tridimensionale.
Più precisamente, si tratta di una stele, provvista di due facce contrapposte e aperte entrambe sullo spazio e nello spazio, un “Giano bifronte” reso irrequieto e conturbante dalla presenza di lastre metalliche smaltate che non evocano più soltanto, non rappresentano ma agiscono nello spazio abitandolo con la loro presenza effettiva.
Resta, protagonista incondizionato e fedele, il segno guizzante e arabescato che si insinua fra il dentro e il fuori, nel “corpo” della scultura, spingendosi oltre la soglia oscura dell’ignoto e riemergendone con illesa, dirompente energia da entrambe le parti, speculari ed equivalenti nel loro coinvolgere dimensioni contrapposte e quindi non “fruibili” insieme nello stesso momento.
Più che mai Agostino Ferrari insiste ora sull’evidenza fisica di questo segno, sulla sua ombra e sul suo muoversi attraversando spazi diversi, aperti uno sull’uno sull’altro e uno attraverso l’altro.
È un passaggio importante e coraggioso, che dimostra oggi più che mai la versatilità straordinaria del linguaggio messo a punto dall’artista milanese, la sua capacità di affrontare tutte le dimensioni del “fare artistico” senza mai tradire sé stesso né allontanarsi dalle proprie ragioni fondanti.
Quella di Agostino Ferrari è una “forma totale” dove si avvicendano ed entrano in gioco tutti gli attori della sua lunga messa in scena, in sempre diversi e provvisori giochi d’equilibrio: il colore, lo spazio, il tempo e, soprattutto, immancabilmente il segno. Segno che è qui autentico compagno di strada in un percorso che si staglia oggi specialmente libero al di sopra di etichette e classificazioni di comodo (pittura vs scultura; moderno vs contemporaneo), nate per circoscrivere e ordinare le risorse della creatività artistica, ma che si ritrovano ottuse e impotenti di fronte all’arte vera, sorprendente, sempre, imprevedibile, ma fedele. Come in questo caso.